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Manchette di prima

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Manchette di prima

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C’ era una volta un maestro — Fabrizio Grazioso

Esi­sto­no, esi­sto­no dav­ve­ro per­so­ne che t’accompagneranno per tut­ta la vita. E non è det­to che tu deb­ba aver con loro un rap­por­to di reci­pro­ci­tà. Maga­ri han fat­to par­te d’un perio­do (lon­ta­no) del­la tua esi­sten­za; e ogni tan­to ritor­na­no a far capo­li­no tra i ricor­di, le sen­ti rivi­ve­re in gesti e paro­le. Poi sor­ri­di e in un bat­ter di ciglia ti ritro­vi pic­ci­no, col grem­biu­le nero, tra i ban­chi di scuo­la. Così mi è acca­du­to sta­ma­ni. Alle ele­men­ta­ri — e quin­di vi par­lo di oltre 15 anni fa — ho avu­to un inse­gnan­te di sto­ria e geo­gra­fia par­ti­co­la­re. Mau­ri­zio. Uno di quel­li che — dav­ve­ro — non si scor­da­no più, in cui le lezio­ni era­no un con­cen­tra­to di let­te­ra­tu­ra, filo­so­fia, mito. In cui i per­so­nag­gi del­la sto­ria anti­ca pren­de­va­no for­ma, in cui le pen­ne con­su­ma­va­no la car­ta bian­ca e imma­co­la­ta del qua­der­no, tra sche­mi, frec­ce, anno­ta­zio­ni e dise­gni. La sto­ria di Ulis­se nau­fra­go oltre Gibil­ter­ra tro­vò spa­zio in un’ora di geo­gra­fia, i miste­ri del mare nel­lo stu­dio dei feni­ci, Cro­no e Ura­no in digres­sio­ni estem­po­ra­nee, maga­ri a ricrea­zio­ne, o di pome­rig­gio, sul tap­pe­to magi­co del “giar­di­no del­le sto­rie”. Nel qua­der­no di “Spa­zio”, in pri­ma ele­men­ta­re, bec­cai la pri­ma insuf­fi­cien­za, un ‘male’ scrit­to in pen­na nera: per la spre­ci­sio­ne, per la trop­pa furia di fini­re un eser­ci­zio a trat­teg­gio. Ecco, giu­sto inse­gna­men­to: “La gat­ta fret­to­lo­sa fece figli cie­chi”. M’acquietai, per­lo­me­no ci provai.

Il meto­do e le inter­ro­ga­zio­ni si segui­va­no velo­ci, for­ma­va­no, in uno stu­dio affa­sci­nan­te, che addi­rit­tu­ra bru­cia­va le dome­ni­che pome­rig­gio: sume­ri, egi­zi, cre­te­si, laghi e fiu­mi, sen­za con­ta­re la cono­scen­za cer­to­si­na del­la car­te geo­gra­fi­che (e guai a chia­mar­le “car­ti­ne”). Retag­gi che por­to con me, che maga­ri dico io stes­so a lezio­ne, sen­za saper­lo. Due sera fa Car­la mi ha tele­fo­na­to dicen­do­mi del nuo­vo “viag­gio” che ava­va intra­pre­so: lon­ta­no, un po’ più solo, nel­la sua Vicen­za. Me lo son rivi­sto in pie­di sul­la cat­te­dra, con un maglion­ci­no a righe, i capel­li arruf­fa­ti e la voce tea­tra­le. A quest’infaticabile let­to­re, al Mae­stro, alla voce nar­ran­te dei Pro­mes­si Spo­si, mi sen­ti­vo in dove­re di dedi­car­gli qual­co­sa più di un sem­pli­ce pen­sie­ro, di una pre­ghie­ra. Dove­re comu­ne di noi, mai sazi di “fia­be”.

*un ex alun­no non pro­prio “model­lo”!

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