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Manchette di prima

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Manchette di prima

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L’Imperia, la storia longonese che divenne leggenda

A qual­cu­no di Por­to Azzur­ro, agli ini­zi degli anni Set­tan­ta, scoc­cò la scin­til­la: “E se ci pre­sen­tas­si­mo con una bar­ca da gara?”.
Qua­si qua­si…

Le risor­se però era­no quel­le che era­no, qual­co­sa all’altare anda­va sacri­fi­ca­to.

Quel mastro d’ascia e men­te genia­le di Ala­di­no Ada­mi (nomen omen) pre­se la sua bar­ca a vela, quel­la con cui anda­va in gita con la fami­glia – l’«Imperia» – le segò l’albero, ci adat­tò ban­chi e scal­mi et voi­là.

La pri­ma vera bar­ca da gara fu dun­que l’Imperia, ribat­tez­za­ta con un nuo­vo nome: Impe­ria II.

L’Imperia II pesa­va 150 chi­li, cir­ca la metà rispet­to ai pesan­ti goz­zi da pesca, ed era anche più lun­ga.

I lon­go­ne­si si pre­sen­ta­ro­no alla pri­ma gara di pari­glio e vin­se­ro, poi rivin­se­ro, poi vin­se­ro anco­ra, non la smet­te­va­no più. Spa­dro­neg­gia­va­no.

Fu allo­ra ripri­sti­na­to dall’EVE, nel 1973, il Palio Remie­ro elba­no uffi­cia­le e fu isti­tui­to un rego­la­men­to di gara che impo­ne­va tas­sa­ti­va­men­te alle bar­che la misu­ra di cin­que metri e mez­zo e l’introduzione del quar­to voga­to­re.

Il pari­glio non era più con­tem­pla­to, da lì in avan­ti si sareb­be voga­to di pun­ta.

L’Adami allun­gò e modi­fi­cò la bar­ca in fun­zio­ne del rego­la­men­to, ma l’anno dopo ne costruì anche un’altra nuo­va, di sana pian­ta, sul­la stes­sa fal­sa riga, estre­miz­zan­do­ne ancor di più i prin­ci­pi.

E fu così che par­to­rì l’Imperia III, un capo­la­vo­ro in tut­ti i sen­si: su quel­la bar­ca voga­va­no in quat­tro, ma – e que­sto l’Adami anco­ra non pote­va saper­lo – ci si sareb­be incar­na­to l’intero pae­se di Por­to Azzur­ro.

Quel­la bar­ca era leg­ge­ris­si­ma (99 chi­li) e appa­ren­te­men­te sen­za chi­glia, pare­va un gran­de guscio di coc­co, nei giri di boa gua­da­gna­va tan­to. Anche per­ché la pop­pa era qua­dra, con­sue­ta sì per una bar­ca a vela ma deci­sa­men­te inu­sua­le per una da canot­tag­gio. Sul pas­so gara, inve­ce, essen­do leg­ge­ra, pote­va esse­re un po’ «bal­le­ri­na», spe­cial­men­te con la maret­ta, ma la sta­bi­li­tà era un det­ta­glio tra­scu­ra­bi­le.

Il van­tag­gio del peso e del­la chi­glia magi­ca – il truc­co c’è ma non si vede – era un diva­rio qua­si incol­ma­bi­le per la con­cor­ren­za.

L’Imperia det­ta­va anco­ra leg­ge, e la leg­gen­da comin­cia­va a pren­de­re for­ma.

“La pop­pa, il segre­to di quel­la bar­ca è nel­la pop­pa! Biso­gna far­la ugua­le!”.

Era que­sto che tra­ma­va­no, più o meno losca­men­te, gli anta­go­ni­sti del tem­po.

Ma il posto è pic­co­lo e la gen­te mor­mo­ra: la voce arri­vò ai lon­go­ne­si che si rego­la­ro­no di con­se­guen­za.

“Vole­te vede­re la pop­pa del­la nostra bar­ca? Per poi copiar­la? Sì, col caz­zo!”.

L’Imperia veni­va tra­spor­ta­ta la dome­ni­ca sul cam­po di gara, con un camion, cin­que minu­ti pri­ma del­la par­ten­za: la sca­ri­ca­va­no in mare alla svel­ta e poi, a gara ter­mi­na­ta, altret­tan­to alla svel­ta la rica­ri­ca­va­no sul camion e la por­ta­va­no subi­to via.

Ma quel­li del­la con­cor­ren­za non si arre­se­ro. Al con­tra­rio, si inte­star­di­ro­no: “Non ci vole­te far guar­da­re la pop­pa? E noi la guar­de­re­mo lo stes­so!”.

Così, una sera, all’imbrunire, men­tre la bar­ca con l’equipaggio era appe­na rien­tra­ta alla spiag­gia del­la Ros­sa al ter­mi­ne dell’allenamento, alcu­ni mat­ti (e in che altro modo li vor­re­sti chia­ma­re?) par­ti­ro­no in mis­sio­ne segre­ta.

Si tuf­fa­ro­no in mare alla spiag­gia di Mola arma­ti di masche­ra e pin­ne, costeg­gia­ro­no a nuo­to tut­ta la sco­glie­ra, sca­po­la­ro­no la pun­ta del Fana­let­to e, quan­do ormai era buio, si dires­se­ro ver­so la spiag­gia del­la Ros­sa con l’acquolina in boc­ca.

Acquo­li­na in boc­ca non è pro­pria­men­te esat­to: sba­va­va­no, da quant’erano ecci­ta­ti.

Arri­va­ro­no sul­la bat­ti­gia e, pri­ma di usci­re dall’acqua, aspet­ta­ro­no un atti­mo per non sciu­pa­re tut­to, dove­va­no agi­re con cir­co­spe­zio­ne e vole­va­no esse­re sicu­ri che non ci fos­se­ro occhi indi­scre­ti.

Andò beno­ne, occhi indi­scre­ti non ce n’erano, anzi, non c’era pro­prio nul­la.

Nem­me­no la bar­ca.

Que­gli eroi­ci incur­so­ri era­no rima­sti con un pal­mo di naso, zam­pet­ta­va­no a vuo­to sul­la spiag­gia del­la Ros­sa con le pin­ne. Ave­va­no fat­to una figu­ra meschi­na, sem­bra­va­no pin­gui­ni spae­sa­ti.

Infat­ti, al ter­mi­ne di ogni alle­na­men­to, l’Imperia veni­va capo­vol­ta e cari­ca­ta a spal­la, dall’equipaggio o da qual­che volon­ta­rio, e tra­spor­ta­ta in un magaz­zi­no distan­te un paio di iso­la­ti.

Il gior­no dopo, dac­ca­po. L’Imperia la tene­va­no nasco­sta, la pro­teg­ge­va­no.

Piut­to­sto che far­le posa­re gli occhi addos­so, i lon­go­ne­si la scar­roz­za­va­no in su e in giù, spiag­gia-magaz­zi­no, magaz­zi­no-spiag­gia, un gior­no sì e l’altro pure.

Non dura­va­no fati­ca e nean­che lo con­si­de­ra­va­no tem­po per­so: era­no ser­vi­gi dovu­ti, come si con­vie­ne a una pri­ma­don­na, una star, una prin­ci­pes­sa, una regi­na.

E anche in segui­to, negli anni a veni­re, è sem­pre sta­to così. L’Imperia non ha mai tra­scor­so la not­te sul­la spiag­gia.

Non ha mai visto il cie­lo stel­la­to né si è fat­ta sfio­ra­re, una vol­ta sol­tan­to, dai rag­gi di luna.

Il prez­zo da paga­re per l’immortalità.

 

Miche­le Melis

 

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