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Manchette di prima

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Manchette di prima

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Novembre, stagione della memoria. Porto azzurro 1955

Novem­bre, sta­gione dei mor­ti. Per­lomeno dal 998, a Cluny, in Bor­gogna.
Novem­bre, sta­gione del­la memo­ria, forse non da sem­pre ma oggi più che mai; e pro­prio per­ché del­la memo­ria, s’af­fac­cia di nuo­vo quel ricor­do immor­ta­la­to in una fotografia sepol­ta nel­la cas­set­tiera del non­no. Sfug­gi­ta al tem­po e agli sguar­di. Com’eran lunghe le file dritte a San Cer­bone, com’era tenue il vocio ver­gog­noso che si perde­va nei campi, ger­moglian­do tra la guaz­za mat­tuti­na e il fogliame incres­pa­to che scal­da­va, a mo’ di lenzuo­lo, la ter­ra (viva) in cui riposa­va il mor­to. Le orazioni del sac­er­dote, ormai vec­chio e al decli­no, rup­pero il silen­zio. La bonac­cia dei cipres­si finì coll’accompagnare il rito. Quan­do pure i figli­oli sape­vano ascoltare, quan­do non sarebbe sta­ta la paro­la “defun­to” a far impres­sione. E là davan­ti, tra mar­mi infan­gati e cro­ci ingial­lite, in un con­fron­to sen­za eguali, lo spir­i­to cresce­va, e cresce­va assieme alla con­sapev­olez­za e alla sen­sazione (direi qua­si fisi­ca) che i mor­ti c’avessero las­ci­a­to qual­cosa più d’un sem­plice ricor­do: le nos­tre radi­ci.
In paese, dal Notarel­li, la cor­sa per i crisan­te­mi. Il “De pro­fundis”, al vespro, scortò bab­bo, mam­ma e pro­le sino a casa; l’indomani suor Vin­cen­za avrebbe inter­roga­to e la poe­sia di Pas­coli — che tan­to sa di scuo­la — guai a bias­ci­car­la: lun­ga e tut­ta a memo­ria! Al mat­ti­no non una vir­go­la fuori pos­to; tre noci, per ricom­pen­sa!
Novem­bre è un viag­gio, un viag­gio nel tem­po, nelle sta­gioni del­la vita che scorre.
Qua­si rive­do la mia classe, il fumo gela­to a mezz’aria, quel­la “neb­bia agl’irti col­li” e quel “giorno pieno di lampi”; sen­to di nuo­vo Car­la inter­rog­a­r­ci uno ad uno e pre­tendere il meglio nel­l’in­ter­pre­tazione. Ore lon­tane ma voci def­i­nite.
Novem­bre, dunque, si (e ci) con­trad­dis­tingue. Egli stes­so è con­trad­dit­to­rio: si pen­si al piacere per la rac­con­ta nei boschi (sebbene di funghi, quest’an­no, man­co l’om­bra) e alla mal­in­co­nia in aggua­to per la spo­li­azione degl’alberi e dei cieli. Eppure, questo “venir meno”, attra­ver­so il fuo­co dei cami­ni, por­ta­va di nuo­vo l’intimità, lo stare in famiglia. Sarebbe bas­ta­ta una mines­tra di cicer­chie, pane raf­fer­mo e del vino (sen­za etichet­ta) per infi­ammare l’alchemica volut­tà del­la fan­ta­sia, di nov­el­le rac­con­tante con voce sag­gia e d’una luce estin­ta allo scam­panio dell’Or di Notte; il Carosel­lo (anche in TV)… cosa per pochi!
E la fede? La mis­e­ria non l’aveva induri­ta; era solo più ruvi­da, soli­taria, mai assente.
Novem­bre è l’occasione per risco­prir­la, per risco­prire sé stes­si attra­ver­so l’abbraccio del pas­sato.
Rifiorire nelľ “estate fred­da dei mor­ti” non è poi cosa da tut­ti!

Fab­rizio Grazioso

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