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Dell’antichità di Marciana: ” Quant’è il mì Concone” di Angelo Mazzei

“Quan­ti anni ha Nun­zia?”, e lei sar­cas­ti­ca come sem­pre rispon­de­va “Quan­t’el mi’ con­cone!”. Nun­zia era una sig­no­ra di Mon­te­ca­ti­ni Val di Ceci­na che si era trasferi­ta a Pog­gio di Mar­ciana appe­na nata nel 1899. Il con­cone, invece, è sì una grossa con­ca usa­ta per fondere i sil­i­cati di vetro, ma i suoi sig­ni­fi­cati sono sta­ti moltepli­ci nel cor­so dei sec­oli. Con­cone era un cati­no per dar da man­gia­re agli ani­mali, un bacile per trasportare i pan­ni, il capoc­chione di fos­so o giri­no adul­to, il recip­i­ente per la pigiatu­ra del vino, e non ulti­ma la con­ca o bacinel­la nel­la quale il neona­to veni­va lava­to, che quin­di veni­va com­pra­ta in occa­sione del­la sua nasci­ta. Ci sono sto­rie che si trasmet­tono come accade coi pet­te­golezzi: quan­to più sono det­tagli­ate nel­la loro non ver­ità tan­to più attec­chis­cono e nel­la loro rete cadono ignari tut­ti i pesci. Chi conosce l’iso­la d’El­ba conosce di sicuro la sto­ria di Venere e le sette per­le cadute che for­marono nel Mar Tir­reno l’Arcipela­go Toscano, come un mito mod­er­no ques­ta “leggen­da” si è impos­ta su tutte le altre entran­do nel­la nar­ra­ti­va del ter­ri­to­rio in qua­si tutte le pre­sen­tazioni tur­is­tiche. Allo stes­so modo le infor­mazioni per i vis­i­ta­tori sulle orig­i­ni e la fon­dazione di Mar­ciana che par­lano di un Mar­cius che nel 35 avan­ti Cristo avrebbe fonda­to Mar­ciana, sem­bra­no non avere alcun riscon­tro bib­li­ografi­co nel­la let­ter­atu­ra anti­ca, né lati­na né gre­ca. Prob­a­bil­mente si trat­ta di miti (vec­chie fake news, se preferite) nati in epoca mod­er­na. Men­tre la leggen­da delle sette per­le di Venere potrebbe essere il frut­to di una tradizione orale che riman­da a qualche fan­tomati­co autore del pas­sato, per quel che riguar­da il fonda­tore e la data di fon­dazione di Mar­ciana è assai più prob­a­bile che si trat­ti di una deduzione poco felice di un dot­to (ma non trop­po) viag­gia­tore che vis­i­tan­do l’El­ba nel sec­o­lo scor­so non abbia resis­ti­to alla ten­tazione di for­mu­la­re un’ipote­si e vender­la per dato di fat­to. Ispi­ran­dosi chissà per­ché a un non meglio iden­ti­fi­ca­to Mar­cius e a una stra­or­di­nar­i­a­mente esat­ta data. La sua pun­tu­al­ità deve aver in segui­to ingan­na­to un po’ tut­ti, cos­ic­ché la notizia, pre­standosi a facile mem­o­riz­zazione, come in un copia/incolla di San­t’An­to­nio, si é dif­fusa su riv­iste car­tacee per poi dila­gare ovunque via web. Non vi tedi­amo con un elen­co delle ricor­ren­ze, che ci pare del tut­to inutile, ma vor­rem­mo atti­rare la vos­tra atten­zione sul modo in cui la notizia viene ripor­ta­ta fedel­mente ogni vol­ta sen­za che gli scriven­ti di turno si inter­rogh­i­no mai sul­la sua orig­ine. Nes­suno evi­den­te­mente si è mai sen­ti­to in dovere di inda­gar­ne la fonte (che infat­ti non c’è), anche se dovrebbe essere la pri­ma cosa da ver­i­fi­care quan­do si ripor­ta una notizia del genere. Quel­lo che deve essere suc­ces­so è che inizial­mente qual­cuno deve aver scrit­to la cosa dicen­do “mi è sta­to rac­con­ta­to da uno del pos­to che Mar­ciana è…”, e poi il pre­am­bo­lo qui vir­go­let­ta­to è anda­to per­du­to per rin­forzare lo scoop. Ora, è pos­si­bile che borghi come questi siano sta­ti abi­tati già da moltissi­mo tem­po pri­ma. Se con­sid­e­ri­amo trac­ce di ceramiche neolitiche, sel­ci ed ossid­i­ana, poi con­sid­e­ri­amo la posizione strate­gi­ca da un pun­to di vista ambi­en­tale e visi­vo, la col­lo­cazione vici­no a ric­che sor­gen­ti di acqua organolet­ti­ca­mente di altissi­ma qual­ità, potrem­mo essere por­tati a sug­gerire un impianto prim­i­ti­vo che si perde nel­la notte dei tem­pi ed ammet­tere l’im­pos­si­bil­ità di sta­bilire una data di fon­dazione. Ecco che scherzan­do (ma non trop­po) abbi­amo sposta­to di mez­zo mil­len­nio indi­etro nel tem­po le lancette del­l’orolo­gio di Mar­ciana, for­mu­lan­do un biz­zarro (a pri­ma vista) sil­lo­gis­mo: “Se può essere lecito credere che Mar­ciana sia sta­ta fon­da­ta nel 35 a.C. da Mar­cius sot­to Roma, per­ché non dovrebbe esser­lo pen­sare che invece sia sta­ta fon­da­ta da Marce, Mamerce o dal­la gens Mar­c­na, Marci­na, nel 535 avan­ti Cristo? Al di là del­la provo­cazione iron­i­ca bisognerebbe ricor­dare qui alcu­ni dati impor­tan­ti. Il pri­mo è che per­lomeno fin dal Bron­zo Medio-Recente per arrivare fino al pieno Peri­o­do Etr­usco Arcaico (540520 a.C.) la grande area com­pre­sa tra Omo Mas­so a nord, Monte Giove a sud, e Ser­raven­tosa ad ovest, ha resti­tu­ito a scavi (preva­len­te­mente occa­sion­ali e cer­ta­mente non sis­tem­ati­ci) un notev­ole pat­ri­mo­nio di ogget­ti tes­ti­moni del­l’an­ti­chità e del­la sacral­ità del luo­go. L’area, che dista una quar­an­ti­na di minu­ti a pie­di da Mar­ciana (San­tu­ario del­la Madon­na del Monte) e cir­ca 100m di dis­liv­el­lo, meriterebbe l’in­ter­es­sa­men­to di una uni­ver­sità, lo scopo di questo arti­co­lo è pro­prio questo. In sec­on­do luo­go, una notizia stor­i­ca attendibile ci par­la di una sec­on­da onda­ta migra­to­ria di gre­ci ioni di Focea dal­la cos­ta ana­toli­ca che si stanziarono sul­la cos­ta sud-est del­la Cor­si­ca viven­do qui di espe­di­en­ti, con raid pirateschi che mira­vano non solo a navi in tran­si­to ma anche ad attac­chi sul­la ter­rafer­ma. Dob­bi­amo dire con estrema sin­cer­ità che non ci sono al momen­to riprove arche­o­logiche che attesti­no attac­chi o trac­ce di dev­as­tazione nel­l’area inter­es­sa­ta dal­la nos­tra ricer­ca, ma neanche pro­va del con­trario; e tut­to farebbe pen­sare che se i focei di Cor­si­ca han­no attac­ca­to dei borghi etr­uschi il pri­mo di questi dove­va trovar­si nel pun­to a loro più vici­no, la cos­ta occi­den­tale del­l’iso­la d’El­ba appun­to. Ove ci si trovasse costret­ti ad ammet­tere che il cosid­det­to “inse­di­a­men­to pro­to­stori­co” del­l’area in ques­tione non resti­tu­isce più alcun reper­to pos­te­ri­ore al pieno peri­o­do arcaico, nel­l’az­zardare un’ipote­si a spie­gazione del per­ché queste aree mon­tane siano state abban­do­nate dob­bi­amo pren­dere in con­sid­er­azione vari aspet­ti: a) even­tu­ali ragioni cli­matiche, b) strate­giche e/o eco­nomiche e c) dis­lo­ca­men­to a segui­to di un attac­co foceo. A con­fort­are l’af­fer­mazione di uno scivola­men­to a valle delle popo­lazioni locali nel­la stes­sa epoca del­la grande battaglia navale (di Alalia o del Mare Sar­do) sta il dato arche­o­logi­co che daterebbe tut­ti i siti etr­uschi sul­l’iso­la d’El­ba, local­iz­za­ti sot­to i 400m slm, in epoca (imme­di­ata­mente) suc­ces­si­va a tale data (che dovrebbe essere tra il 540 e il 535 a.C.). Sono infat­ti di fine VI sec­o­lo e inizio V sec­o­lo i reper­ti più antichi trovati “in bas­so”. Per un elen­co det­taglia­to con­sigliamo la let­tura dei tec­ni­ci sag­gi a riguar­do scrit­ti dal Prof. Adri­ano Mag­giani, oltre ai preziosi lavori di Michelan­ge­lo Zec­chi­ni (Elba, le orig­i­ni) e Lau­ra Paglianti­ni (Aithale, l’iso­la d’El­ba). Potreb­bero risalire pro­prio a quest’e­poca degli attac­chi, focei pri­ma e sir­a­cu­sani dopo, le costruzioni di quei castel­li che in let­ter­atu­ra arche­o­log­i­ca sono sta­ti defin­i­ti “fortezze d’al­tura”. Le cosid­dette fortezze d’al­tura sono state al cen­tro di alcu­ni con­veg­ni ed inter­pre­tate in modi diver­si. La ten­den­za a vedere in queste costruzioni piut­tosto dei palazzi o delle domus sem­bra com­in­cia­re ad affer­mar­si, per i corre­di di vita quo­tid­i­ana, la pre­sen­za di ceramiche raf­fi­nate, telai, trac­ce di attiv­ità agri­cole e di pas­tor­izia, come in delle vere e pro­prie tenute. Al momen­to, questi “palazzi” neces­si­tano anco­ra di essere sca­v­ati e stu­diati, tranne due, sug­li altri non si sono fat­te cam­pagne di sca­vo pro­gram­mate e finanzi­ate, ma solo ispezioni saltu­ar­ie. Tra l’al­tro non è affat­to balzano sospettare che alcune di queste costruzioni etr­usche siano state assor­bite dal­l’ur­ban­is­ti­ca dei borghi ed uti­liz­zate, ristrut­turate ed adib­ite ad altre fun­zioni, nei sec­oli suc­ces­sivi, risul­tan­do mag­a­ri oggi inglo­bate nei borghi esisten­ti o dis­trut­ti, e trasfor­mate in fortezze difen­sive o chiese. Ci ha sem­pre affas­ci­na­to la sto­ria di Mar­cius che sbar­ca­to all’El­ba fon­da Mar­ciana nel 35 avan­ti Cristo. Ma quan­do è sopravvenu­to in noi il bisog­no di rac­con­tare la sto­ria del­l’El­ba e di Mar­ciana nel modo più fedele pos­si­bile ci siamo trovati a dover fare il “lavoro sporco” di met­tere alla pro­va del­la log­i­ca le con­clu­sioni trat­te dai diver­si stu­diosi, per quan­to autorevoli, e ver­i­fi­care ove pos­si­bile l’at­tendibil­ità delle fonti. Ques­ta oper­azione richiede un lavoro di ricer­ca appro­fon­di­to ed atten­to, ma soprat­tut­to tan­ta pazien­za ed umiltà. Abbi­amo riflet­tuto a lun­go sul­l’even­tu­al­ità di sve­lare ques­ta bufala stor­i­ca, per­ché il ter­reno è scivoloso e bas­ta un atti­mo a fare la fine di quel sig­nore che alcu­ni decen­ni or sono si è inno­cen­te­mente inven­ta­to ques­ta sto­ria. Per questo ci siamo guar­dati bene dal­l’af­fer­mare che Mar­ciana sia sta­ta fon­da­ta dagli etr­uschi nel 535 avan­ti Cristo ed abbia pre­so il suo nome né da un patrizio romano né tan­tomeno dalle sue con­dizioni ambi­en­tali di marci­toio, ma pre­sum­i­bil­mente dal­la gens Mar­c­na, da un con­dot­tiero Marce o dalle divinità del­lo stes­so eti­mo. Con­clu­di­amo ricor­dan­do che il bor­go gemel­lo di Mar­ciana, sul­la col­li­na ad ori­ente sep­a­ra­ta da due val­late ric­che di acque (e muli­ni in pas­sato) e che dista solo duemi­la metri di stra­da, resti­tuì nel 1898 quat­tro tombe etr­usche (sec­on­do l’il­lus­tre arche­ol­o­go Minto) dove il reper­to più vec­chio tra quel­li rimasti rin­trac­cia­bili sarebbe un’ol­la (una conchi­na di ceram­i­ca) che anco­ra si tro­va nei mag­a­zz­i­ni del Museo di Firen­ze e che è sta­ta stu­di­a­ta sem­pre dal pro­fes­sor Mag­giani, il quale non ha esi­ta­to a datar­la in un suo sag­gio alla fine del VI sec­o­lo a.C., per cui il gemel­lo di Mar­ciana, Pog­gio il suo nome, sarebbe almeno anti­co quan­to la sua conchi­na. Come avrebbe det­to Non­na Nun­zia: ha tan­t’an­ni quan­t’e il su’ con­cone.

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