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Emanuela D’Aversa (FederTerziario): “Nel Mezzogiorno una donna su due con figli è inattiva”

La respon­sa­bi­le dell’ufficio rela­zio­ni indu­stria­li dell’organismo dato­ria­le ha par­la­to ieri di diva­ri di gene­re nel mon­do del lavo­ro in occa­sio­ne dell’evento “aMa­re il lavo­ro”, orga­niz­za­to dall’Associazione Nazio­na­le Con­su­len­ti del Lavo­ro (ANCL), a Proc­chio, dal 20 al 22 set­tem­bre 2024.
“Le don­ne sono le ulti­me a entra­re nel mon­do del lavo­ro e le pri­me a usci­re, ser­ve un pia­no nazio­na­le di incen­ti­vi e di tute­la per supe­ra­re il diva­rio di gene­re, soprat­tut­to al Sud dove la situa­zio­ne è anco­ra più gra­ve”. Le paro­le di Ema­nue­la D’Aversa, respon­sa­bi­le dell’ufficio rela­zio­ni indu­stria­li di Feder­Ter­zia­rio, sin­te­tiz­za­no la pro­fon­da dispa­ri­tà di gene­re rela­ti­va all’accesso nel mon­do del lavo­ro, alle con­di­zio­ni retri­bu­ti­ve e al rag­giun­gi­men­to di posi­zio­ni api­ca­li. Con­si­de­ra­zio­ni che si rive­la­no nel gen­der equa­li­ty index, un indi­ca­to­re svi­lup­pa­to dall’European Insti­tu­te for Gen­der Equa­li­ty per misu­ra­re il com­ples­so con­cet­to di ugua­glian­za di gene­re in cam­po eco­no­mi­co e socia­le, che vede l’Italia al 14esimo posto tra gli Sta­ti dell’Ue, con una per­for­man­ce di 3,6 pun­ti infe­rio­re rispet­to alla media.
“Feder­Ter­zia­rio pro­muo­ve ormai da anni del­le pro­po­ste per ridur­re que­sto gap — sot­to­li­nea D’Aversa -, chie­den­do un impe­gno più con­cre­to sul fron­te del lavo­ro con la pos­si­bi­li­tà di ren­de­re strut­tu­ra­li bene­fi­ci e incen­ti­vi lega­ti all’assunzione e alla sta­bi­li­tà lavo­ra­ti­va del­le don­ne, ma anche attra­ver­so l’introduzione di incen­ti­vi lega­ti all’autoimprenditorialità, con la pre­vi­sio­ne di per­cor­si for­ma­ti­vi che con­tri­bui­sca­no a ridur­re il gap del­le com­pe­ten­ze digi­ta­li e finan­zia­rie. A que­sto pro­po­si­to con­si­de­ria­mo neces­sa­rio un gene­ra­le amplia­men­to dei bene­fi­cia­ri del­la for­ma­zio­ne finan­zia­ta per le don­ne disoc­cu­pa­te e inoc­cu­pa­te. Biso­gna, inol­tre, pre­ve­de­re misu­re dedi­ca­te al wel­fa­re di pros­si­mi­tà e mag­gio­ri ser­vi­zi socio-assi­sten­zia­li, come asi­li nido e strut­tu­re per anzia­ni e disa­bi­li. Neces­sa­rio, inol­tre, l’ampliamento del con­ge­do obbli­ga­to­rio per i padri e la per­cen­tua­le di inden­ni­tà in caso di con­ge­do paren­ta­le”.
A fron­te di una gene­ra­le dif­fe­ren­za di base del tas­so di occu­pa­zio­ne maschi­le e fem­mi­ni­le nel­la fascia di età tra i 25 e i 54 anni (-19,9% a sfa­vo­re di quest’ultimo), un’elaborazione dell’ufficio rela­zio­ni indu­stria­li di Feder­Ter­zia­rio, sul­la base di dati Istat e dell’Istituto nazio­na­le per le ana­li­si del­le poli­ti­che pub­bli­che, cer­ti­fi­ca che le don­ne occu­pa­te con due figli sono il 57,8% con­tro il 91,6% degli uomi­ni che si tro­va­no nel­la mede­si­ma situa­zio­ne fami­lia­re. Un dato che risal­ta ulte­rior­men­te se si pren­do­no in con­si­de­ra­zio­ne le dimis­sio­ni volon­ta­rie per geni­to­ri con figli fino ai tre anni: il 72,8% del tota­le ha riguar­da­to le don­ne. Nel­lo spe­ci­fi­co, ana­liz­zan­do i dati ela­bo­ra­ti da Feder­Ter­zia­rio deri­va­ti da uno stu­dio dell’Ispettorato Nazio­na­le del Lavo­ro, emer­ge che le ragio­ni spe­ci­fi­che addot­te dal­le don­ne che han­no lascia­to il lavo­ro riguar­da­no essen­zial­men­te moti­vi fami­lia­ri: il 41% per dif­fi­col­tà lega­te alla man­can­za dei ser­vi­zi di assi­sten­za, il 7,1% per esi­gen­ze di cura dei figli.
“Un altro capi­to­lo su cui stia­mo lavo­ran­do come orga­ni­smo dato­ria­le — evi­den­zia la respon­sa­bi­le dell’ufficio rela­zio­ni indu­stria­li — riguar­da il red­di­to: ser­vo­no mag­gio­ri tute­le per pro­fes­sio­ni­ste e impren­di­tri­ci e un’azione con­cre­ta per abbat­te­re il dif­fe­ren­zia­le retri­bu­ti­vo nomi­na­le annuo. I nume­ri sono impie­to­si e illu­stra­no un’Italia che viag­gia su due bina­ri dif­fe­ren­ti, pure quan­do le com­pe­ten­ze e le pro­fes­sio­na­li­tà sono le mede­si­me”.
Valu­ta­zio­ni che, espres­se in valo­re asso­lu­to, defi­ni­sco­no tut­to il peso di que­sta dispa­ri­tà: nel set­to­re pri­va­to le don­ne con qua­li­fi­ca impie­ga­ti­zia han­no per­ce­pi­to media­men­te 10mila euro in meno all’anno rispet­to ai col­le­ghi uomi­ni, nell’ambito pub­bli­co, con­si­de­ran­do il perio­do com­pre­so tra il 2014 e il 2021, il dif­fe­ren­zia­le retri­bu­ti­vo annuo tra uomi­ni e don­ne è sta­to di 5.200 euro.

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