Alla sua partenza, vent’anni dopo, trovò il paese cambiato: ai suoi occhi nulla (o quasi) era uguale a prima, forse neppure i monti, che verdeggiavano per il rimboschimento del Dopoguerra. Al suono della nave, ai saluti dei passanti, ricordò così la sua estate bambina: era l’agosto del 1955…
La luce di quel povero lampione, su per la Guardiola, accompagnò pian piano due o tre ombre; le scortò fino alla piazza. Là, una nitidezza maggiore, in un soffuso salotto tinto d’arancio, col vocio intermittente e scanzonato di quei bar, rese pura l’aria, sincero il sorriso. L’ “Or di notte” diede avvio al passeggio. Una cena saporita, inebriata di mare, dai mille tesori di una sciabbica, riaccese l’animo del villegiante che proprio non era riuscito a buttar giù la traversata — di scirocco — col “Porto Azzurro”. Ai tavolini rotondi e colorati dei bar, un amaro ed una coppa crema e cioccolato. Parole e risa perse in quello sguardo (affascinato) dritto su Focardo, al suo raggio accecante, così forte nell’oscurità marina. Il traghetto, cinto da una schiera invincibile di pescherecci e navigli, pareva un gigante del mare, un transatlantico in quel piccolo, livido porto di “Longone”. Una radio poggiata sul davanzale del Corinto — a mo’ di filodiffusione “ante litteram” — supportò i discorsi della clientela foresta e dell’indigeno elbano. Storie di silenzio e abbandono, mare e lontananza. Storie vere, parole al limite del concreto. Meraviglia, pura meraviglia. E sulla scia di quel “Non ti scordar di un bacio a mezzanotte”, un ballo serale, improvvisato. Due, tre, dieci coppie. Poi un rabarbaro, una partita a carte e le chiacchiere fino a tardi. Si unì anche il taxista e quell’agente di custodia appena smontato dal Forte. Poi le luci presero a spegnersi, a lasciar posto — di nuovo — alla sublime intimità che l’Isola aveva ormai perso… sebbene vivesse ancora nei ricordi dei padri. Ma il pensiero già volgeva al domani, alla domenica, alla spiaggiata verso Morcone, con le barche prese a nolo da un infaticabile Aladino. Poi il pranzo, i fichi secchi di Ginetta, l’ombrello rattoppato e il giornale. Il rientro, nel tardo pomeriggio, magari in tempo per la messa: a sentirlo, altrimenti, don Carlo! Così come in Marina, anche al Botro, a Puntecchio e a Monserrato, l’assemblea vicinale, lontana dall’eco della piazza, prese a sciogliersi. A riaccatastere vecchie sedie impagliate. Spenta la candela, i rumori della notte. Zanzare (sì, già c’erano!), assiuoli e il frinio delle cicale. La pace! Porto Azzurro dormiva, dormiva consapevole del fatto che non sarebbe mancato poi molto al respiro autunnale. Lina, sulla soglia dei quaranta, l’aveva appena ripetuto a figli e nipoti: AGOSTO CALA ‘VERNO.
*E lei, da brava nipote, lo ricordava: perché cambiamo i tempi, ma il pensiero è sempre quello!
Abbia ” rubato” questo post dal profilo Facebook di Fabrizio Grazioso e, tra una birra ed un coca e rum ci stavamo interrogando su quale fosse per noi il ricordo dell’ estate.
Lo chiediamo anche a voi, scriveteci nei commenti i vostri ricordi dell’ estate, un’ odore, un’ immagine, un volto…
Lo chiediamo anche a voi, scriveteci nei commenti i vostri ricordi dell’ estate, un’ odore, un’ immagine, un volto…