Quando nel giugno del 2012 entrasti nella biblioteca per consegnarmi un po’ di materiale storico sulla comunità, non t’avevo ancora schiodato di dosso l’idea d’una severa maestra troppo impostata, troppo seria per i miei canoni. Ma non ti c’avevo mai avuto, né a scuola né a catechismo. Quindi mi sbagliavo. E bastò il primo invito a casa, al Poggetto, per farmi ricredere: galline che scorrazzavano nel parco, tra conigli e porcellini d’india… e tu, col grembiale da contadina e forcone alla mano, che sistemavi il fieno; un profumo di moka intenso s’affacciò all’ingresso e mi condusse fino al terrazzo. Poi una crostata (di Giuliana, precisò suor Silvia, perché non voleva illudermi nel caso chiedessi la ricetta), biscotti al burro e verdure dell’orto. Mi sembrò un mondo così bello, virgiliano, a due passi dal centro, che quasi rimpiansi il fatto d’aver giocato tanto allegramente giù, all’asilo comunale. Grazie a quel primo libro che volevo scrivere, al tempo considerato quasi uno schiribizzo (anticonformista) d’un sedicenne, prese avvio la nostra Amicizia. E lo sottolineo con la maiuscola perché amicizia — parola più sacra d’un… turibolo — lo è davvero. Oggi — che con gli occhi colmi di ricordi hai chiuso “Il Poggetto” e lasciato il (tuo) paese dopo 34 anni, quasi metà della tua vita — volevo raccontartelo, e raccontarlo anche agli altri. Non che ci fosse bisogno di rimarcare il nostro ‘binomio’, ma scriverlo ha un effetto lentivo: è un “tornare a casa”. Da subito m’assecondasti e iniziammo a riempire il giardino di oche, anatre, tacchini, quaglie, faraone, capre e… struzzi! E siccome anche loro – creature di Dio, sottolineavi – “pascolavano” tra i bimbi di scuola, t’inventasti nel pollaio altalene e cuccette variopinte. Con tanto di appello serale. Poi iniziarono le cene: lunghe tavolate, tanti ospiti, fino a notte fonda… condite dal nespolino di Silvia: ‘nonna’, cuoca sopraffina. – Forza, tutto d’un sorso! –
Ma fu soprattutto dopo la strenua apologia che sostenesti in merito al mio scherzo sul fantasma di Monserrato (con tanto di don J. pronto alla scomunica), che iniziò — viva e sincera — la nostra amicizia: tutto il resto è una storia che conoscete già, che a raccontarla ci vorrebbero ore, pagine e inchiostro. Magari un giorno ne verrà fuori un libro. Un’amicizia nonostante “il tempo”. E ora… nonostante quegl’indigesti 250 kilometri che ti separano dal tuo paese. Buon viaggio, Gemma. Buona Roma!
*a settembre mi segnerò a qualche nuovo corso, preparati… che poi a Longone ti ci riporto in macchina!
