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Manchette di prima

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Quello che l'altri dovrebbero di'

Manchette di prima

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Fabrizio Grazioso saluta Suor Gemma

Quan­do nel giu­gno del 2012 entra­sti nel­la biblio­te­ca per con­se­gnar­mi un po’ di mate­ria­le sto­ri­co sul­la comu­ni­tà, non t’avevo anco­ra schio­da­to di dos­so l’idea d’una seve­ra mae­stra trop­po impo­sta­ta, trop­po seria per i miei cano­ni. Ma non ti c’avevo mai avu­to, né a scuo­la né a cate­chi­smo. Quin­di mi sba­glia­vo. E bastò il pri­mo invi­to a casa, al Pog­get­to, per far­mi ricre­de­re: gal­li­ne che scor­raz­za­va­no nel par­co, tra coni­gli e por­cel­li­ni d’india… e tu, col grem­bia­le da con­ta­di­na e for­co­ne alla mano, che siste­ma­vi il fie­no; un pro­fu­mo di moka inten­so s’affacciò all’ingresso e mi con­dus­se fino al ter­raz­zo. Poi una cro­sta­ta (di Giu­lia­na, pre­ci­sò suor Sil­via, per­ché non vole­va illu­der­mi nel caso chie­des­si la ricet­ta), biscot­ti al bur­ro e ver­du­re dell’orto. Mi sem­brò un mon­do così bel­lo, vir­gi­lia­no, a due pas­si dal cen­tro, che qua­si rim­pian­si il fat­to d’aver gio­ca­to tan­to alle­gra­men­te giù, all’asilo comu­na­le. Gra­zie a quel pri­mo libro che vole­vo scri­ve­re, al tem­po con­si­de­ra­to qua­si uno schi­ri­biz­zo (anti­con­for­mi­sta) d’un sedi­cen­ne, pre­se avvio la nostra Ami­ci­zia. E lo sot­to­li­neo con la maiu­sco­la per­ché ami­ci­zia — paro­la più sacra d’un… turi­bo­lo — lo è dav­ve­ro. Oggi — che con gli occhi col­mi di ricor­di hai chiu­so “Il Pog­get­to” e lascia­to il (tuo) pae­se dopo 34 anni, qua­si metà del­la tua vita — vole­vo rac­con­tar­te­lo, e rac­con­tar­lo anche agli altri. Non che ci fos­se biso­gno di rimar­ca­re il nostro ‘bino­mio’, ma scri­ver­lo ha un effet­to len­ti­vo: è un “tor­na­re a casa”. Da subi­to m’assecondasti e ini­ziam­mo a riem­pi­re il giar­di­no di oche, ana­tre, tac­chi­ni, qua­glie, farao­ne, capre e… struz­zi! E sic­co­me anche loro – crea­tu­re di Dio, sot­to­li­nea­vi – “pasco­la­va­no” tra i bim­bi di scuo­la, t’inventasti nel pol­la­io alta­le­ne e cuc­cet­te vario­pin­te. Con tan­to di appel­lo sera­le. Poi ini­zia­ro­no le cene: lun­ghe tavo­la­te, tan­ti ospi­ti, fino a not­te fon­da… con­di­te dal nespo­li­no di Sil­via: ‘non­na’, cuo­ca sopraf­fi­na. – For­za, tut­to d’un sor­so! –
Ma fu soprat­tut­to dopo la stre­nua apo­lo­gia che soste­ne­sti in meri­to al mio scher­zo sul fan­ta­sma di Mon­ser­ra­to (con tan­to di don J. pron­to alla sco­mu­ni­ca), che ini­ziò — viva e sin­ce­ra — la nostra ami­ci­zia: tut­to il resto è una sto­ria che cono­sce­te già, che a rac­con­tar­la ci vor­reb­be­ro ore, pagi­ne e inchio­stro. Maga­ri un gior­no ne ver­rà fuo­ri un libro. Un’amicizia nono­stan­te “il tem­po”. E ora… nono­stan­te quegl’indigesti 250 kilo­me­tri che ti sepa­ra­no dal tuo pae­se. Buon viag­gio, Gem­ma. Buo­na Roma!

*a set­tem­bre mi segne­rò a qual­che nuo­vo cor­so, pre­pa­ra­ti… che poi a Lon­go­ne ti ci ripor­to in mac­chi­na!

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